martedì 7 aprile 2015

Sostegno all'offerta o sostegno alla domanda?

Lidia Ravera nella trasmissione condotta da Lilli Gruber ha perorato la necessità di finanziare l'offerta culturale come bisogno primario della società per avere una svolta e uno slancio per la crescita anche economica del paese. Citando l'operato di Roosevelt nel 1927 ha auspicato, senza peraltro notare le sostanziali differenze tra le situazioni dei nostri due paesi, che anche da noi si investa finanziando la produzione di beni culturali. Senza entrare troppo a fondo nella specificità della crisi americana e nella situazione della produzione culturale americana di quei tempi, si deve notare che negli Stati Uniti d'America non esisteva un arte nazionale se non sporadici frammenti di quello che oggi viene definito "american folk". Tutta la cultura veniva o si formava nel vecchio continente dove anche gli stessi americani andavano a produrre. Una mostra tenutasi a Torino sull'arte americana spiega abbondantemente la filosofia che presiedeva i criteri del finanziamento agli artisti.
Anche se secondo il sondaggio Ispo del 2008 gran parte degli italiani ritengono che l'arte contemporanea debba essere sostenuta, anche se non specificano come.


In ogni caso, perché qualunque sostegno all'offerta abbia un effetto reale a lunga durata, bisogna che ci sia un terreno fertile sul fronte della domanda in grado di recepire questa offerta, assorbirla, accoglierla, o, perlomeno, sopportarla.  Senza domanda qualunque offerta risulta sterile e, se non un inutile spreco di risorse, un frustrante esercizio autoreferenziale a rischio di nepotismi e vassallaggi di ogni genere.  Un seme nel deserto non fruttifera. Perchè possa germoliare prima si deve creare il terreno fertile per accogliere i preziosi semi della cultura.

Sempre secondo lo stesso sondaggio ISPO le persone interessate all'arte sono solo il 35%


Non sono solo i politici a pensare  che la cultura non si mangia, loro sono solo l'espressione del consenso popolare che loro stessi vanno cercando ed alimentando con "sparate" di questo genere. La gente esasperata mugugna contro tutto quello che crede essere spreco. Una politica incentrata sul finanziamento dell'offerta, intesa come produzione materiale di beni artistico-culturali, diventerebbe subito oggetto di forti critiche da parte di chi ha perso il lavoro e di tutte quelle persone, che sono tante e sempre di più, che non arrivano a fine mese arrabattandosi per la semplice sopravvivenza.


Io penso che si dovrebbe si spendere per la cultura, ma ribaltando il soggetto beneficiario dell'investimento pubblico. Vale a dire non più la produzione, ma la domanda. La domanda è la parte più difficile da sostenere, in quanto dispersa nella totalità della popolazione del paese, mentre è facile identificare un relativamente piccolo numero di intellettuali che possono essere sostenuti con una spesa relativamente piccola. Agire sulla domanda significa invece agire su moltissimi fronti ed in molti modi differenti. Una cosa che corre il rischio di diventare dispersiva e infruttuosa. Ma anche qui si potrebbe iniziare da piccoli passi in una direzione giusta. Una direzione che come tutti i viaggi a lunga distanza e lunga durata non permetterà di vedere risultati nell'immediato. Se si cerca il consenso è evidente che finanziare la produzione di un film o di uno spettacolo porta subito ad un risultato, qualunque esso sia lo si vede nel giro di poco tempo. Se si agisce sul fronte del pubblico, si deve aspettare che il pubblico "cresca", "maturi" e poi si potranno avere i frutti. Magari non si capirà che la realtà quotidiana è cambiata grazie a quelle azioni e quegli investimenti fatti anni prima ma sicuramente ci sarà qualcosa di permanente ed irreversibile.
Nell'immediato, comunque, agendo sul fronte della domanda si potrebbero creare posti di lavoro nel settore dell'educazione. La scuola continua a tagliare posti di lavoro e materie legate all'educazione artistica. Pertanto si potrebbe lasciare ad un connubio tra privato e pubblico l'onere di sopperire a questa lacuna. Anche le amministrazioni periferiche come i comuni e le regioni potrebbero benissimo collaborare in quest'opera di "educazione" che io preferirei definire incremento della "sensibilità artistica" della popolazione. 
Se cercassimo di diffondere "sensibilità artistica"  fin dalla primissima infanzia, non solo educheremmo i futuri cittadini a compiere scelte responsabili nel momento in cui saranno chiamati a prendere delle decisioni da adulti quando assumeranno i ruoli che gli completeranno, qualunque essi siano e a qualunque livello di responsabilità,  ma potremmo penetrare sin da oggi nelle famiglie e,  attraverso questi piccoli cavalli di troia,  spandere "sensibilità artistica"  nella popolazione adulta sin da ora creando quella domanda, quel bisogno, che si vorrebbe soddisfare e rendere bisogno primario.