domenica 30 giugno 2019

Può il decostruttivismo essere considerato la chiave di lettura di tutta l'arte moderna?

Può il decostruttivismo essere considerato la chiave di lettura di tutta l'arte moderna?

Vediamo, ... ma forse si. Partiamo da alcuni esempi.


Andy Warhol decostruisce la propria società, la società dei consumi, quell'American Way of life in cui i suoi genitori si sono proiettati da immigrati, viene presa, smontata nei suoi simboli iconici e ricostruita in una moltiplicazione sgargiante di immagini senza mezzi toni, di forte connotazione grafica.
Warhol fa a pezzi il suo mondo, ne prende i brandelli e i brandelli diventano icone, feticci. I feticci quindi si moltiplicano all'infinito.
Andy Wahrol opera così una decostruzione sia semantica che topica nello stesso tempo.

L' esempio della decostruzione semantica l'attua astraendo l'immagine-segno dal significato comune e dandole regole nuove, trasformandola così in altro.
La banconota da $1, per esempio. Oppure la sedia elettrica.
La decostruzione topica l'attua quando riproduce delle scatole di
detersivo per collocarle in una galleria. Una decostruzione già operata in passato da Duchamp e la sua fontana.

E questo processo astrazione semantica e ricollocazione topica lo porta avanti fino alle ultime opere del Vesuvio e dell' ultima cena.

Tutto il suo lavoro parte da questo schema creativo semplice e meccanico. Un meccanismo un po' autofago dove l'originalità si stempera nella serialità, e la serialità stessa diventa essa stessa atto creativo. Non sarebbe un'opera di Wharol se non fosse moltiplicata identica e nelle sue varianti. E anche qui la decostruzione opera il suo ruolo: l'originalità, che per antonomasia si dovrebbe applicare all'unicità, qui si manifesta nella sua serialità. Wharol genera il proprio mondo con le proprie regole, ed in ciò risiede il suo valore artistico.

Ma questa sua produzione si auto demolisce quando cerca di rappresentare la realtà oggettiva. Questo intento lo introduce nei suoi film. "Building" o "Sleep", sono la realtà riportata in video: camera fissa e tempo reale. Nessun intervento artificiale esterno. Nessun movimento di macchina. Nessun taglio. La realtà si dipana sotto gli occhi dello spettatore. Nessun atto creativo se non nell'azione taumaturgica dell'idea dell'artista che genera l'opera.
Un po' come Piero Manzoni che con "Fiato d'artista" e "Merda d'artista" ci dice che è l'artista a fare un opera un opera d'arte; e
questo concetto lo sottolinea quando in galleria firma i visitatori rendendoli opere d'arte. Così come Rotella che a Carla Lonzi confessa il
potere magico delle sue mani che strappando la carta dei manifesti, rivela l'opera che vi si cela. E solo le sue mani d'artista hanno il potere di dare valore artistico a quanto si trova stratificato naturalmente sui muri delle nostre città.

In questi giorni un altro americano ci da una nuova versione di un processo di decostruzione: Jef Koons.
Se Wharol decostruisce scientemente il consumismo, Koons lo fa con qualcosa legato all'infanzia, ai giochi gonfiabili dei bambini. Lo schema del suo lavoro creativo non è dissimile da quello di Wharol: astrazione dell'immagine segno e ricollocazione topica in un contesto museale.

Non che Oldenburg sia da meno in questo, anzi. La varietà dei soggetti di Oldenburg rendono questa modalità di lettura dell'arte moderna maggiormente palese Una decostruzione completa della realtà per portarcela davanti agli occhi ricostruita a propria immagine.


Ma andando avanti potremmo trovare tanti altri riferimenti di decostruzione, il grimaldello con cui penetrare nei meandri della creatività e del linguaggio degli artisti.