mercoledì 28 marzo 2018

Daniele Cima

Non si finisce mai di stupirsi. Bisogna ammetterlo. Il primo approccio con L'arte di Daniele Cima l'ho avuta con Art in a Box.

Le dieci opere realizzate da Daniele per questa iniziativa erano particolari. Fui colpito subito dai colori piatti, tesi, omogeneamente distribuiti in campiture con precisione meccanica. Poi, subito dopo, in seconda lettura, ho iniziato a penetrare la sua ironia. Devo ammettere che non c'è niente di più piacevole che alleggerirsi l'animo con un'arte spensierata, non drammatica, quasi ludica.

Più volte in passato mi sono rapportato con artisti inclini alla gioia, portatori di allegria. Con Cima è stato un ritrovarsi in un ambiente confortevole con cui cercare una benefica sintonia. Bisogna ammetterlo: di tanto in tanto ci vuole proprio. Trovarsi in un convivio virtuale di allegri portatori di luce spensierata. Cima un portatore di luce, un lucifero quindi? Forse, anche se conoscendolo personalmente difficilmente lo si potrebbe assimilare al Signore delle tenebre. Forse un Lucifero prima della sua arrogante e presuntuosa insubordinazione. Un Lucifero ancora cherubino, che eterno bambino, crea piccole magie visive.

Nello studio Bolzani, che da qualche tempo frequento e in cui faccio un po' di salotto con gli assidui e storici frequentatori e di cui ho curato la recente mostra di Umberto Lilloni : "Genesi di un'opera", trovo oggi un nuovo capitolo del Cima pensiero. Introdotta da due testi, uno di Cristina Muccioli e l'altro di Antonello Negri, la mostra "Autoframe" ci presenta qualcosa di nuovo, originale, così come originale è il pensiero artistico di Daniele Cima. Il titolo già ci spiega, suggerisce, l'argomento chiarendo e confondendo nel contempo. Finché non si apre il catalogo o si vede la mostra si rimane nel dubbio. La rivelazione è che sono cornici, e che altro potrebbero essere. Solo che da contenitore esse diventano contenuto.



La cornice che si incornicia da se potrebbe essere l'autofagia del serpente che si mangia la coda: ma non è così. I piani di lettura delle opere si moltiplicano e a poco a poco rivelano nuove sfaccettature. Si inizia dai colori. I colori sono acidi e vengono accostati con ardimentosa cura.


Si nota subito che le cornici sono solo la forma esteriore di un estetica interiore. La forma quindi viene data dalle linee che in precisa ortogonalità racchiudono uno spazio, mentre il sentimento, per dirla con Susanne Langer, viene conferito dal colore. Tutto ciò crea uno spazio di gioiosa armonia.

Si torna quindi da dove si è partiti e dove credo si continuerà a tornare parlando dei lavori di Cima: alla gioia leggera di una decorazione colta che, a ben vedere con attenta lettura, si distinguerà nel panorama dell'arte andando oltre il design di un Mendini edonista, ma debitore di un Mondrian del secolo scorso che strizza l'occhio al più contemporaneo Peter Halley.


Le sorprese non finiscono qui. Le opere sfiorano leggere anche le nostre avanguardie dell'arte povera. Le cornici che racchiudono lo specchio, donandoci il nostro ritratto, si potrebbero accostare ad un Michelangelo Pistoletto di buon umore o ad un Giulio Paolini in vena di romanticismo. Ma Cima rimane sempre lui, colto citatore, mai imitatore, illusionista ed essenziale. Mai esagerato, mai eccessivo.