Alessandro di Vicino Gaudio vede l'umanità del suo tempo attraverso le icone mediatiche che pervadono ogni angolo disponibile. Il tutto viene poi infarcito dall'esperienza diretta della sua vita quotidiana, simile a quella di tutti noi. Il risultato è un racconto, una storia, un viaggio lungo una personale introspezione che potrebbe essere quella che ciascuno, se ne avesse voglia e capacità, dovrebbe di tanto in tanto fare. Un riferimento al suo fare lo possiamo trovare, per certi versi nella storia dell'arte d'inizio secolo scorso. Potremmo andare in quella Germania travagliata e tumultuosa dove si è fatta, nel bene e nel male, la storia europea. Gli inizi secolo forse si assomigliano tutti, così come si assomigliano le paure di tutti i fine millenni. Ma oggi più che mai i moniti e i segni devono essere colti da quelle persone che, per loro natura e per loro funzione sociale, sanno raccogliere le vibrazioni, le sensazioni, le grandi paure nascoste.
Otto Dix, Sylvia von Harden, 1926 |
Queste persone non possono che essere gli artisti, e Gaudio è artista fin nel midollo.
Se George Grosz, Otto Dix o Max Beckmann prima di lui dovevano accontentarsi del loro prossimo, incontrato in piazze, Caffè o alle feste, per alimentare il proprio orrore per il tempo in cui erano costretti a vivere, ora Gaudio può farlo usando una varietà di soggetti che possono essere collocati indifferentemente in un paese occidentale o in uno orientale. Un ovunque.
George Grosz, Il funerale. Dedicato a Oskar Panizza, 1917-1918 |
In quel "non luogo" che raccoglie tutto senza distanze e senza tempo. Nessuna distanza geografica a dividere, ma solo quella sociale a fare da spartiacque. Il suo mondo artistico è pieno di tutti quei timori che hanno attanagliato scrittori e registi negli anni travagliati del novecento e ancora oggi rimangono latenti nella nostra società.
Certe volte le visioni sono apocalittiche, anche se descritte sempre con quello stile asciutto e semplice che ricorda lo "stencil" o il fumetto, altre volte sono semplici moniti di una deriva progressiva.
Max Beckmann, Ricevimento a Parigi, 1931 |
Ma Alessandro è solo pregno di pessimismo tragico? Sarebbe poi così impossibile, secondo la sua visione del mondo, liberarsi da questa tragedia accentratrice nell'ego di tutte le energie vitali? forse non è così, dopotutto lui è un artista e produce quadri. Un dipinto, dopotutto, parla sempre di più cose. Molte di più di quanto l'immagine sembri riportarci. Le opere di Alessandro ci parlano di lui, del mondo in cui è immerso e che affronta ogni giorno; ci parlano delle immagini che lo colpiscono, che si trascina dietro anche quando chiude gli occhi, di come le ricompone in nuove forme, in nuove sequenze. Certo che le sue visioni del futuro sono degne delle più apocalittiche descrizioni orwelliane, o degli scenari opprimenti di Bradbury. Le sue immagini sono le "ipotetiche" elementari di un preoccupante oggi troppo silenzioso, dei moniti da tener presenti lanciati con la speranza di smuovere quel che rimane dell'empatia umana non ancora svuotata dalla freddezza dei mezzi di comunicazione indiretta di cui oggi ci circondiamo.
Ma poi si insinua timidamente un segno di speranza. Una speranza che l'umanità, nonostante tutto, rimane e se coltivata sboccia. Un miracolo che vede anche il deserto fiorire di tanto in tanto. Così è per la natura di cui siamo comunque parte. Così si ha una speranza e una via d'uscita.
“In a cloudy day” acrilico su tela 120x50cm |
Dopo tanti ammonimenti ecco una cura da seguire, attuando l'esortazione di Ralph Waldo Emerson: "Scrivilo nel tuo cuore che ogni giorno è il miglior giorno dell’anno".
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