martedì 29 novembre 2016

Alessandro Di Vicino Gaudio e la "Nuova Oggettività"

Alessandro di Vicino Gaudio vede l'umanità del suo tempo attraverso le icone mediatiche che pervadono ogni angolo disponibile. Il tutto viene poi infarcito dall'esperienza diretta della sua vita quotidiana, simile a quella di tutti noi. Il risultato è un racconto, una storia, un viaggio lungo una personale introspezione che potrebbe essere quella che ciascuno, se ne avesse voglia e capacità, dovrebbe di tanto in tanto fare. Un riferimento al suo fare lo possiamo trovare, per certi versi nella storia dell'arte d'inizio secolo scorso. Potremmo andare in quella Germania travagliata e tumultuosa dove si è fatta, nel bene e nel male, la storia europea. Gli inizi secolo forse si assomigliano tutti, così come si assomigliano le paure di tutti i fine millenni. Ma oggi più che mai i moniti e i segni devono essere colti da quelle persone che, per loro natura e per loro funzione sociale, sanno raccogliere le vibrazioni, le sensazioni, le grandi paure nascoste. 
Otto Dix,
Sylvia von Harden,
1926
 Queste persone non possono che essere gli artisti, e Gaudio è artista fin nel midollo.
Il fatto è che Grosz nella sostanza culturale delle avanguardie, proprio come Dix, aveva introdotto uno spirito d'implacabile denuncia, di rabbia, di indignazione. Così, all'interno della lezione cubista, egli aveva fatto irrompere, con spregiudicata irriverenza, il segno primitivo dell'epigrafia popolare, dello scarabocchio e dell'iconografia scurrile studiata sui muri delle strade. ...M. De Micheli Se George Grosz, Otto Dix o Max Beckmann prima di lui dovevano accontentarsi del loro prossimo, incontrato in piazze, Caffè o alle feste, per alimentare il proprio orrore per il tempo in cui erano costretti a vivere, ora Gaudio può farlo usando una varietà di soggetti che possono essere collocati indifferentemente in un paese occidentale o in uno orientale. Un ovunque.
George Grosz,
Il funerale.
Dedicato a Oskar Panizza,
1917-1918
In quel "non luogo" che raccoglie tutto senza distanze e senza tempo. Nessuna distanza geografica a dividere, ma solo quella sociale a fare da spartiacque. Il suo mondo artistico è pieno di tutti quei timori che hanno attanagliato scrittori e registi negli anni travagliati del novecento e ancora oggi rimangono latenti nella nostra società. 
Certe volte le visioni sono apocalittiche, anche se descritte sempre con quello stile asciutto e semplice che ricorda lo "stencil" o il fumetto, altre volte sono semplici moniti di una deriva progressiva.

Max Beckmann,
Ricevimento a Parigi, 1931


Ma Alessandro è solo pregno di pessimismo tragico? Sarebbe poi così impossibile, secondo la sua visione del mondo, liberarsi da questa tragedia accentratrice nell'ego di tutte le energie vitali? forse non è così, dopotutto lui è un artista e produce quadri. Un dipinto, dopotutto, parla sempre di più cose. Molte di più di quanto l'immagine sembri riportarci. Le opere di Alessandro ci parlano di lui, del mondo in cui è immerso  e che affronta ogni giorno; ci parlano delle immagini che lo colpiscono, che si trascina dietro anche quando chiude gli occhi, di come le ricompone in nuove forme, in nuove sequenze. Certo che le sue visioni del futuro sono degne delle più apocalittiche descrizioni orwelliane, o degli scenari opprimenti di Bradbury. Le sue immagini sono le "ipotetiche" elementari di un preoccupante oggi troppo silenzioso, dei moniti da tener presenti lanciati con la speranza di smuovere quel che rimane dell'empatia umana non ancora svuotata dalla freddezza dei mezzi di comunicazione indiretta di cui oggi ci circondiamo.


Ma poi si insinua timidamente un segno di speranza. Una speranza che l'umanità, nonostante tutto, rimane e se coltivata sboccia. Un miracolo che vede anche il deserto fiorire di tanto in tanto. Così è per la natura di cui siamo comunque parte. Così si ha una speranza e una via d'uscita.
“In a cloudy day”
acrilico su tela 120x50cm

Dopo tanti ammonimenti ecco una cura da seguire, attuando l'esortazione di Ralph Waldo Emerson: "Scrivilo nel tuo cuore che ogni giorno è il miglior giorno dell’anno".
Andando oltre e trovando anche in Walt Whitman quella semplice esortazione che da migliaia di anni aleggia nel mondo: "cogliere l'attimo: questa è la felicità; cogliere l'attimo e non lasciare alcuno spazio al pentimento o all'approvazione" e come dare torto al poeta d'oltre oceano  quando ci dice: "la felicità in nessun altro posto che qui / in nessun altra ora che questa".

Ma prima esorcizziamo le paure, guardiamo le nostre pecche, apriamo gli occhi sul mondo e scrolliamocelo di dosso. Gli artisti neo oggettivi ci hanno aperto gli occhi in ogni epoca, Gaudio lo fa oggi. Togliamoci gli occhiali e guardiamo la realtà prima che sia troppo tardi.
...

lunedì 28 novembre 2016

1979 Flavio Caroli parla della crisi del mercato dell'arte


Lungimiranza quella di Caroli che nel 1979 ci parlava della crisi del mercato dell'arte o cronica sofferenza lamentosa del mugugno del settore?

Difficile a dirsi, ma quello che appare subito lampante é che tutto sommato poco si sappia del mercato, del suo valore economico e dei suoi aspetti peculiari. Tanto che Caroli sostiene che il mercato in quell'anno abbia subito un calo del settanta o ottanta per cento rispetto al 1972, anno al culmine di un decennio dove a Milano si era drenato, sempre a sua detta, niente po' po' meno che il settanta per cento del mercato mondiale. Mica noccioline, parla proprio di mercato mondiale. Stranamente però non conforta queste affermazioni con fonti di riferimento attendibili, ma nonostante ciò gli hanno pubblicato un libro con la raccolta dei suoi articoli usciti sul Corriere della Sera negli anni immediatamente precedenti. Nella sua prefazione ci apre gli occhi su un mondo del Bengodi dove ingenti flussi di denaro arrivavano bella capitale meneghina divenuta l'ombelico del mondo del'arte.  Forse la prefazione del suo libro necessitava di un sugo un po' piccante per renderlo più appetibile.  Ma oggi si tratta di storia antica.  anche se Caroli compare in televisione come testimone attendibile di questo strano mondo, e nessuno ha voglia di chiedergli di rendere conto delle sue affermazioni di allora.

Verba volant scripta manent. Vogliamo ritrovarle queste parole? e allora:

  • La politica dell'arte, il titolo;
  • Garzanti l'editore;
  •  Il 1979 l'anno.


Forse erano gli anni della Milano da bere, forse darle un ruolo centrale doveva servire a qualcuno. Forse tanta gente parla a vanvera.
Ma se nel settantanove si era già già perso una fetta così consistente di mercato cosa dovrebbe rimanere oggi?