L'arte di Piemonti a
prima vista e a prima lettura appare, senza ombra di dubbio,
apollinea, dettata cioè da quella razionalità
geometrico-matematica tipica del costruttivismo, del concretismo e di
tutta l'arte analitica; ma Tommaso Trini, con la sua naturale
sensibilità maturata in decenni d'esperienza e studio, riesce a
vedere oltre la superficie e oltre, anche, quell'apparenza al primo
sguardo. Nel 1974 scrive a Piemonti in merito alle sue recenti opere,
di aver notato come il suo lavoro fosse "... razionale e
irrazionale allo stesso tempo ...". Una affermazione che
parrebbe una contraddizione, ma che subito nello stesso testo
chiarisce: " ... da un lato le tue astratte composizioni sono
guidate da un'evoluzione strutturale che solo la ragione suggerisce,
un altro lato il loro linguaggio di base che opta per certi modelli
geometrici e cromatici nasce da un livello per me insondabile che è
il tuo pre conscio, il livello mediano tra ciò che esprimi e la sede
inconscia dell'espressione. ...".
Il linguaggio di base
dunque attinge a quel magma di conoscenza che l'artista ha accumulato
e sedimentato in se il cui sfogo viene imbrigliato dal razionale
volere di ordine geometrico e matematico. Un origine dionisica,
selvaggia, ma domata dalla forza ordinatrice della natura apollinea
del lavoro.
In tutto ciò appare
evidente come Piemonti non potesse stare a lungo su un tema senza
doversi sfogare su altro. Di qui la sua vocazione a sperimentare, di
qui la sua necessità di ricondurre le proprie sperimentazioni a quel
rigore appreso sia dai suoi maestri d'oltralpe, sia da quelli d'oltre
oceano.
Forme, geometrie e colori
del "Realisme nouvelle" e accumulazioni cromoplastiche dei
Madì si alternano e si susseguono, lasciando una traccia di
dionisiaco in tutto il suo lavoro.
Nella mostra milanese vengono esposte solo le opere del periodo Madì, in attesa che una retrospettiva completa di tutta l'opera possa dare una visione d'insieme della ricchezza creativa dello scomparso maestro.