Dopo aver fatto due mostre di Alessandro Di vicino Gaudio, un artista che per certi aspetti, come altri del resto, riflette sui mali della società e le ansie del suo futuro sviluppo, mi è parso opportuno interrogarmi e chiedere consiglio ad amici, a proposito di un pensiero un po' sopito che era molto in voga tanti anni fa. Questo pensiero percorreva le schiere degli intellettuali rimbalzando da una parte all'altra senza posa. Un pensiero in cui ci si interrogava sul ruolo dell'arte e se, e come, questa avesse una sua funzione sociale. Alle volte si andava oltre chiedendoci se avesse anche una capacità di incidere sostanzialmente nel tessuto in cui andava a collocarsi, provocando un'alterazione del corso degli eventi (accezione cui si riferisce l'architetto Valeria Armani nel suo intervento).
Certamente alcune forme dell'espressione artistica, come la letteratura, ad esempio, vivono maggiormente questa condizione, altre, per loro natura, possono essere partecipi o meno di questo agire. Bisogna andare quindi nel tessuto più profondo per poter discernere. Bisogna forse in primo luogo definire cosa si intende per "arte sociale" e poi valutare che impatto, che ruolo e come essa possa in qualche modo incidere sulle nostre vite.
Appare evidente che in molti casi le arti figurative possono assolvere questo ruolo di "sollecitatore" alla riflessione, diventare spunto ed occasione di ricordo e celebrazione. Possono benissimo essere lo strumento con cui la società prende coscienza di certi problemi o diventare veicolo di messaggi sintetici espressi in maniera non verbale.
Nella storia, per le arti visive, la funzione sociale c'è sempre stata. Dalla preistoria, quando gli sciamani per evocare buoni auspici per la caccia dipingevano animali, fino al ruolo di letteratura per analfabeti assunto dalla pittura quando la committenza ecclesiastica chiedeva all'arte di raccontare le virtù dei santi ed insegnare al volgo le sacre scritture. In tutti questi casi la pittura ha assolto egregiamente un compito di comunicazione sociale. Alla
celebrazione della divinità si è succeduta poi una committenza laica e la celebrazione passò ad essere quella del condottiero, del nobile delle gesta eroiche di un paese: la celebrazione del potere, in definitiva.
L'arte successivamente, in molti casi, ha celebrato il malessere della società. Si è fatta espressione di stati d'animo o di condizioni di vita. Testimone degli aspetti della società in cui andava ad inserirsi. Assistiamo quindi ad un'alternanza tra critica sociale e apologia del potere, espressione di malessere individuale in molti casi condivisibile.
Un aspetto particolare della definizione di "arte sociale" lo si trova negli scritti di Rothko. Lui ci parla di un arte che è totalmente sociale, qualunque forma assuma. Probabilmente in questi scritti sta parlando di se e del suo malessere, che, tra l'altro, corrisponde ad una fase di cambiamento estetico del suo lavoro: dal figurativo più accademico ad una forma di surrealismo che poi lo condurrà all'astrazione pura di derivazione surreale. In questi suoi scritti contrappone i termine sociale all'uso strumentale dell'arte come forma di fuga dalla realtà (escapism). Una fuga perpetrata dall'artista, s'intende. Nel negare questo presunto intento d'alienazione, di cui probabilmente qualcuno lo ha accusato, sostiene che tutte le forme d'espressione hanno un risvolto sociale. Nel momento in cui qualcosa viene immesso nel mondo sociale, essa in qualche modo incide. In primo luogo incide sulla persona stessa che ha immesso l'oggetto in questione, e per riflesso, quindi, sulla società intera. Si arriva quindi ad una interpretazione molto ampia che vede ogni gesto e comportamento umano come fatto "sociale". Una anticipazione delle affascinanti teorie del caos sintetizzabili nella metafora della farfalla che battendo le ali a Pechino sposta la traiettoria di un tifone sulle coste orientali d'America. Ma nello specifico, per quanto affascinanti, queste teorie non aiutano a capire se oggi abbia ancora senso parlare di "arte sociale" per le arti figurative.
Partendo da questa concezione estesa, rothkiana potremmo dirla, probabilmente il professor Bonini incentra la sua risposta.
Ma non è il solo. Anche Giorgio Seveso, critico militante e per lungo tempo curatore di tanti artisti che hanno inteso politicamente il loro ruolo d'artista, estende il concetto di "arte sociale" all'etica dell'artista.
L'architetto Armani, invece, contestualizza in un ristretto arco temporale la sua riflessione. Si riferisce a quegli anni di "militanza" degli artisti, partecipi di un vorticoso dibattito sulla trasformazione della società in cui ambivano assumere un ruolo di traino e stimolo.
Ringrazio anche Angelo De Francisco Mazzaccara per le sue critiche espresse ai video pubblicati in anteprima su youtube per aver permesso un ulteriore chiarimento e ringrazio anche tutti quelli che vorranno dire la loro in merito.
Ma non è il solo. Anche Giorgio Seveso, critico militante e per lungo tempo curatore di tanti artisti che hanno inteso politicamente il loro ruolo d'artista, estende il concetto di "arte sociale" all'etica dell'artista.
L'architetto Armani, invece, contestualizza in un ristretto arco temporale la sua riflessione. Si riferisce a quegli anni di "militanza" degli artisti, partecipi di un vorticoso dibattito sulla trasformazione della società in cui ambivano assumere un ruolo di traino e stimolo.
Ringrazio anche Angelo De Francisco Mazzaccara per le sue critiche espresse ai video pubblicati in anteprima su youtube per aver permesso un ulteriore chiarimento e ringrazio anche tutti quelli che vorranno dire la loro in merito.