sabato 19 dicembre 2015

graffito vs quadro

Può essere un graffito assimilato ad un quadro?
Se pensiamo al graffito semplicemente ad un dipinto murale e il quadro ad un dipinto su tela o tavola potremmo pensare che non vi sia alcuna differenza tra le due categorie di opere, se non per il supporto: uno statico ed inamovibile mentre l'altro mobile, ricollocabile e contestualizzabile in altri luoghi. Questo chiuderebbe subito la riflessione in maniera troppo semplice.

Le differenze ci sono anche se non è necessariamente il supporto a contraddistinguere le due forme di espressione artistica. Infatti un affresco, ad esempio, è una cosa assimilabile per contenuto ad un quadro e per supporto ad un graffito. Michelangelo etichettato da graffitaro suonerebbe molto strano nei libri di storia dell'arte.

All'ora dove risiede la differenza?
Dal mio punto di vista credo che la differenza sia nel linguaggio e quindi sia indipendente dal supporto o dalla collocazione.
L'arte esprime il proprio contenuto in varie forme, siano esse verbali o non verbali. L'arte visiva usa gli strumenti propri della visione e delle immagini, che siano esse iconiche o aniconiche. Usa un linguaggio proprio con delle regole proprie e veicola dei contenuti propri. L'arte è un mezzo di espressione e il medium non è neutrale rispetto ai contenuti.


Il graffito deve essere letto a colpo d'occhio, capito in una frazione di secondo. Deve poter essere apprezzato quando si passa a bordo di un veicolo veloce per strada. Deve contenere tutto in pochi segni, in poche immagini per poter dare tutto immediatamente.

Volendo esprimere il concetto con  una metafora paragonando le arti visive alla comunicazione verbale, potremmo dire che il graffito potrebbe essere comparato ad una frase lapidaria, un aforisma o al massimo un haiku se lo si vuole nobilitare. Un dipinto, viceversa, può essere un poema o un breve racconto, così come una mostra può essere paragonata ad un libro, qualcosa di più impegnativo, completo ed articolato.




Non per questo lo si deve considerare opera "inferiore", il problema del primato tra le arti è troppo vecchio per essere ripreso. Lo si deve considerare nella sua peculiarità. Comunque rimane aperta la porta al passaggio di una forma all'altra. La mostra di Gigi Raptuz ad esempio. Tenuta nella Galleria Schubert nel 2011 portava un linguaggio nato e sviluppatosi sui muri di Milano e Los Angeles nel chiuso di una galleria con una serie di dipinti che, in armonia con il luogo, si adattavano a raccontare qualcosa in più rispetto ai simboli e gli elementi grafici usati sui muri. Il graffito diventa dipinto nella misura in cui articola il proprio messaggio in una narrazione più complessa sia nel singolo quadro sia nell'articolazione di più opere in una mostra. Forse la dislocazione opera il miracolo, come per la "fontana" di Duchamp. Forse è l'artista che si lascia guidare dal proprio istinto e fa riaffiorare elementi appresi in accademia. Forse è naturale che sia così. Quando un artista è tale è il preminente bisogno di esprimersi a guidarlo, e se l'artista è valido può farlo in ogni luogo.

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